Di seguito l’articolo apparso su La Voce del Tempo di di 08/09/2016
«Non potrò mai dimenticarmi quel venerdì di 7 anni fa… accompagnai il mio socio all’aeroporto, gli dissi di farmi avere notizie della moglie appena fosse arrivato in Brasile. Non potevo immaginare che non l’avrei più rivisto e che oggi aspetto ancora quella telefonata, perché due giorni dopo, il lunedì al mio rientro in fabbrica trovai i finanzieri a prelevarmi. Tutto sotto sequestro, in un attimo tutto perso: il lavoro, i risparmi di una vita, la casa, perchè il mio socio mi aveva truffato ed era scappato. Ero all’oscuro di tutto, ma eravamo cresciuti insieme in Puglia, emigrati insieme, amici da sempre, non potevo immaginare le truffe, gli ammanchi. 15 giorni fa si è concluso il processo con la mia piena assoluzione, ma nulla tornerà come prima».
Francesco (il nome di fantasia) vive oggi a Cavagnolo è uno dei 5 ospiti di Agrisister la nuova «sperimentazione» della Caritas diocesana avviata in primavera che il 5 settembre è stata visitata da mons. Nosiglia. Una visita per conoscere il progetto, per ascoltare le storie e condividere un pomeriggio con chi, superati i 60 anni, ha avuto l’opportunità di lasciare la strada, di imparare a lavorare la terra e allevare le api, di guardare al futuro di nuovo con dignità, in attesa di una casa popolare o del raggiungimento della pensione.
Questo è Agrisister: un «circolo virtuoso» di solidarietà destinato a chi non è più giovane e vive per strada, vive l’umiliazione di essersi lasciato alle spalle una vita diversa, sfuggita all’improvviso per la crisi, per errori, senza prospettive… «Agrisister – ha spiegato Emanuele Ferragatta, presidente della Cooperativa Synergica, partner del progetto – è anzitutto una casa. Una casa dove queste persone vivono in una dimensione famigliare. Non c’è nessuno che li sorveglia, sono persone che ricominciano a partire da una convivenza autonoma e da un’opportunità di lavoro quello agricolo che hanno dovuto imparare e che al momento più che autosufficienti economicamente, li rende di nuovo attivi e utili, perché i loro prodotti vengono distribuiti alle famiglie sfrattate accolte e seguite dalla Caritas».
Una casa nel verde, alla sommità di una collinetta, una casa, con un terreno che si perde a vista d’occhio che Mimmo Sambataro ha voluto affidare in comodato gratuito alla Caritas per 5 anni. «Volevo che questa casa della mia famiglia – racconta – che da anni non era più abitata e che questa terra potessero essere ancora utilizzate e mi rivolsi a mons. Gian Franco Troja, rettore del santuario di San Giuda a Racconigi. Lui mi ha messo in contatto con la Caritas e ora sono contento di vedere che queste persone che prima vivevano per strada ora la possono usare».
«Io ho girato tutti i dormitori d’Italia – prosegue Francesco – so cosa vuol dire dormire al binario 20 e avere ora di nuovo una casa, ma soprattutto un’occupazione….». «Lo sa – sottolinea rivolgendosi a mons. Nosiglia – che per me che ho lavorato una vita la cosa peggiore è stare senza far niente? Un piatto di pasta un letto lo si trova, ma alla nostra età chi ti riprende?».
Accompagnano soddisfatti l’Arcivescovo a vedere le stanze, la cucina, il locale che usano per il miele e che, in attesa delle autorizzazioni dell’Asl, dovrebbe diventare un vero e proprio laboratorio per produrlo e venderlo. Ora sono in tre, perché due hanno avuto un’opportunità lavorativa e sono appena andati via, ma verranno presto rimpiazzati. «Qui possono stare per circa 18 mesi – spiega il direttore della Caritas, Pierluigi Dovis, – imparano, grazie all’aiuto di Nicola Cossù, agrotecnico che fa loro lezioni di orticultura e apicultura, a lavorare la terra e a occuparsi delle api: 5 arnie che hanno già prodotto 60 kg di miele. Vivono soli, ma un volontario, Enzo Misuraca, insegnante in pensione e vicino di casa, spesso fa loro visita e condivide l’impegno nell’orto. E poi Pamela Bongiovanni educatrice di Synergica li segue passo passo nell’autonomia».
«È un po come una mamma – scherzano presentandola all’Arcivescovo – ci controlla se siamo ordinati, come teniamo la casa». E l’incontro con mons. Nosiglia continua all’insegna della familiarità, gli ospiti si raccontano, ripensano alla loro storia: Santino 60 anni, 32 di lavoro come metalmeccanico poi la fabbrica ha chiuso e lui senza lavoro ha perso tutto; Angelo (nome di fantasia), 63 anni, impegnato nel settore dell’artigianato di lusso rovinato da una rapina si è lasciato alle spalle una vita agiata, la barca le casa di oltre 200 metri quadri: «Chissà cosa mi direbbe ora mio padre che aveva i vigneti in questa zona e che quando andavo a trovarlo si arrabbiava perchè non lo aiutavo e ora sono qui a piegare la schiena nell’orto… ma qui per me il lavoro è anche non aver tempo per pensare a quanto è successo, perché per noi che avevamo una vita diversa la condanna è continuare a cercare un perché all’essersi trovati per strada, ad aver dovuto vergognarsi, nascondersi per non far sapere…».
«Un lavoro per non abbattersi, per sentirsi ancora persone, per riuscire ad arrivare alla pensione senza perdersi… questo è lo spirito – conclude Dovis – di Agrisister – Vedere la terra che loro coltivano che porta frutti è un messaggio, per loro può ancora essere tempo di frutti, tempo di sperare, di lasciarsi alle spalle quello che quel tempo passato in strada, quel fondo toccato quando hanno perso casa, lavoro amici». «La vita è un mistero – conclude l’Arcivescovo – ma non bisogna perdere la speranza e voi che siete qui lo sapete bene, è difficile ma si può ricominciare».